Emergenza abitativa non è tema delle sole associazioni di volontariato o Comuni: la Regione pensi fuori dagli schemi.
È paradossale come in Veneto, dove il consumo di suolo non arretra, vi siano sempre più abitazioni sfitte e un numero che non accenna a diminuire di cittadinicostretti a dormire in auto o all’addiaccio, nonostante siano lavoratori.
Dell’ emergenza abitativa non si possono occupare solo le associazioni di volontariato e i Comuni: la Regione deve dare ascolto a tutti quei soggetti che operano nel sociale, attuando strategie nuove e alternative.
Ad esempio, introducendo nuovi sistemi di garanzia per gli affittuari o progetti sperimentali come gli alberghi solidali, strumenti in studio da parte di molte realtà solidali locali in alcuni comuni.
Purtroppo, quando parliamo di emergenza abitativa molti immaginano che si tratti di una questione circoscritta alle persone che vivono in condizioni di indigenza o di disagio sociale.
Sciaguratamente, la questione investe una fetta molto larga della popolazione, toccando famiglie con reddito e lavoratori, talvolta anche professionisti.
Se fino a poco tempo bastava avere un cognome straniero per vedersi sbattere le porte in faccia, oggi a fare i conti con l’impossibilità ad accedere a un alloggio autonomo sono fasce di popolazione sempre più estese.
In Veneto si stima vi siano più di 95mila abitazioni sfitte; nel frattempo il costo degli affitti aumenta, tanto che anche molti professionisti sono costretti a rinunciare a vivere nei capoluoghi di provincia.
Basti pensare alle difficoltà che affrontano non solo operai o lavoratori stagionali, i più a rischio, ma anche medici, infermieri, insegnanti, ecc…
La questione non si risolverà incrementando il numero degli immobili, poiché contemporaneamente il numero di abitazioni destinate ad uso turistico cresce di anno in anno, andando a creare vere e proprie città fantasma o intensificando “l’effetto ghetto” in alcune zone delle nostre provincie.
La Regione Veneto non brilla per attenzione in questa emergenza, che sta mettendo a repentaglio la sicurezza sociale nel nostro territorio.
Alcuni territori, grazie alle associazioni di volontariato, come Caritas, o ad alcuni amministratori lungimiranti, stanno studiando e spingendo con forza verso soluzioni alternative, pur in assenza di fondi o sostegno da parte delle istituzioni che sarebbero chiamate a occuparsi dell’emergenza abitativa.
Si rischia di raggiungere un numero talmente elevato di cittadini costretti a vivere ai margini della società tale da non poter più porre rimedio.
Quanti cittadini dovranno vivere per strada prima che la nostra Regione affronti seriamente la questione?
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